Trullo wrote:Di fronte al bene primario della salute le motivazioni economiche passano in secondo piano[...]
Purtroppo non è vero, salute ed economia sono strettamente legate tra di loro, e la salute non può prescindere da valutazioni di natura economica, per il semplice motivo che dalla economia dipendono le premesse per garantire il bisogno (non bene, ma bisogno) della salute. E viceversa.
Ti faccio un esempio di cronaca spiccia ma reale, del tutto figlia della situazione generata da scelte improvvide dei nostri governanti:
ho un cliente che vuole partecipare ad una gara per forniture pubbliche. Peccato che per il prodotto con il quale vuole partecipare gli manca un particolare che gli potrei fornire io (io= l'azienda per la quale lavoro), senza il quale egli non sa se il suo prodotto possa funzionare. Il particolare non esiste, andrebbe realizzato ex-novo, con ca.2-3 settimane di consegna, ad un costo, diciamo, di entità irrilevante.
Non può o non vuole aspettare, allora ci chiede di modificare un vecchio componente che ha in magazzino lui da tempo immemore (il mio gestionale non ha traccia di tale componente, significa che ha almeno 15 anni). Ora, fare tale modifica (aggiungo che il componente è obsoleto e non potrebbe comunque essere prodotto successivamente in serie), comporta eseguire una operazione non priva di rischi per la salute (si va da semplici danni materiali, a danni curabili, a menomazioni permanenti gravi, fino alla perdita della vita al massimo della sfortuna). I rischi sono pressoché nulli se il prodotto è nuovo, o conservato nelle giuste condizioni per un lasso di tempo anche relativamente lungo. Ma un componente, vecchio di decenni, conservato in una maniera non verificabile, di cui non è possibile verificarne le condizioni di sicurezza attuali e lo stato di deterioramento, impedisce ogni valutazione del rischio. Considerate la conseguenze, ho chiaramente ed inequivocabilmente detto che la cosa non s'ha da fare, anche perché qualora l'operazione avesse successo senza danni, nulla potrebbe dare la certezza che il pericolo non sia latente e creare il danno successivamente presso terzi ignari di tutto.
La nostra "ragioni di stato" però sembra essere: "dobbiamo prendere tutto quello che c'è, ne va del bene dell'azienda", allora sembrerebbe prevalere l'idea che l'operazione vada fatta. Una operazione che dovrebbe consentire al nostro cliente di partecipare alla gara con la certezza di poter poi fornire il prodotto. Di solito si partecipa con prodotti già collaudati, o avendo il tempo di collaudarli, senza dipendere però da componenti che nemmeno si è certi di poter avere. Il tempo evidentemente non c'è, cosa che mi fa presumere un certo stato di "disperazione" da parte sua. Se poi si considera che "partecipare" non significa "vincere" (ci sono concorrenti più grossi e competitivi di lui), ci apprestiamo a fare una operazione dal rischio non calcolabile, con possibili conseguenze gravi, con esito finale del tutto aleatorio.
Tutto questo per dire cosa: salute ed economia sono legate strettamente tra di loro per mezzo di una attenta valutazione rischi/benefici, e la salute non può avere un valore assoluto che possa prescindere da questo. Nel nostro caso i benefici sono aleatori e, spero, non esistenziali (perdere la fornitura non dovrebbe affondarci), di conseguenza far correre al mio collega il rischio di rompersi un braccio o perdere un occhio o, peggio ancora, la vita (per quanto improbabile), non é in nessun rapporto con il beneficio. D'altro canto per il nostro cliente partecipare alla gara potrebbe effettivamente essere di natura esistenziale, magari tale da dover partecipare con prezzi "sotto costo".
Noi siamo poco meno di venti persone, il cliente forse qualche decina: il rischio che potrebbe correre il mio collega (ho cercato di catechizzarlo di non farlo, ma resta una sua decisione), vale la conservazione del posto di lavoro per 50 persone? La mia risposta è "no", nel nostro caso, ma esiste una variabile che mi porterebbe portare a dire di "sì"? Dove è il limite?
La situazione dell'aereo è abbastanza analoga: la compagnia aerea e le autorità pubbliche valutano il rischio di trasportare passeggeri date le condizioni al contorno, ma resta poi ai passeggeri, come spetta al mio collega, valutare se il rischio vale la loro/sua candela. Dov'è la differenza: nel mio caso è determinante il fattore tempo che al contrario del prezzo del biglietto aereo non può essere aumentato. Ma anche l'aumento del prezzo del biglietto non è una variabile indipendente, non può essere aumentato a piacere, alla fine quei passeggeri disposti a correre il rischio, poi si ritirano per il costo del biglietto. La compagnia aerea lascia gli aerei a terra (cosa che comporta di metterli comunque in funzione di quando in quando), ed alla fine chiude bottega e licenzia il personale. Fino a dove le considerazioni su come preservare la salute dei passeggeri e del personale sono coerenti con una valutazione economica anche solo di mera sopravvivenza?
E vale anche per chiese, teatri, ristoranti, perché non è affatto detto che le precauzioni imposte non siano tali da condannare molti esercizi comunque a chiudere.
Il fatto è, come detto all'inizio, che salute ed economia sono legati, strettamente. Ma se in una economia in buono stato le considerazioni sulla salute hanno molta più importanza, in una economia in crisi questo non è più un assioma: la salute diventa aspetto, se non secondario, almeno "non primario".