Il motivo è che si spendono soldi per spendere solo perché ci sono, non perché serva e sia economicamente sostenibile l’esercizio nel tempo.
Esistesse un sistema standardizzato di valutare la finanziabilità dei progetti, in base alle risorse disponibili pro tempore ed al rapporto benfici/costi. Come pure l’obbligo di rispettare la durata utile dell’opera e l’entità del servizio pena restituzione di tutta o parte del finanziamento erogato. Allora, forse, spese inutili e/o insostenibili verrano ridotte.
A questo bisogna unire una sostanziale compartecipazione dell’ente locale, regione o comune o provincia. Ente locale messo in grado di avere gettito fiscale adeguato a finaziare opere importanti, e non soltanto il proprio funzionamento. Il tutto in relazione all’interesse effettivamente servito: la riparazione di un marciapiede non è di intersse nazionale, ne regionale, ne provinciale, nemmeno comunale se lo stesso è suddiviso in municipi. Al contrario una tramvia è di interesse comunale, regionale e statale in porzioni diverse, diciamo 50:30:20.
Ma fino a quando il gettito fiscale viene acquisito al 70% dallo stato ed “elargito al popolo” per bontã sua, tale proporzione non può che essere 10:15:75. Ed ecco che chi gode di un’opera finanziata con il 90% di soldi altrui (non so se è il caso di Messina, ė solo un ragionamento esemplificativo), senza valutazione preliminare, senza penali, pensa di potersene “liberare” semplicemente. “Tanto non butto via soldi miei, in compenso li risparmio”, ammesso e non concesso che ciò sia vero.