18 ottobre 2006
La ricostruzione del macchinista del convoglio che ha tamponato:
«Era rosso, ma la Centrale mi ha dato l'ok»
«Il mezzo aveva problemi, sentivo puzza di bruciato»
ROMA — Alle 4 di ieri mattina, Angelo Tomei, 32 anni, il macchinista del treno della morte, era già al deposito, pronto a iniziare il suo turno. Come tutte le mattine ormai da 6 anni, perché Tomei non è un novellino, ma un macchinista esperto. È il rappresentante sindacale degli autoferrotranvieri della Cisl e prima di condurre la metropolitana ha fatto l’autista dell’autobus (suo padre era capo- deposito del Cotral).
Pochi minuti prima che accadesse il disastro, lui ha capito che c’era qualcosa che non andava: «Mi sono accorto che il treno aveva dei problemi, ho sentito un gran rumore, poi la puzza di bruciato... ». Ora è un uomo disperato. Ha saputo che sotto il suo treno c’è morta una ragazza e adesso non si dà pace: «Ma io ve lo giuro, ho avuto il via libera dal Dct, per questo sono passato col semaforo rosso».
Il Dct è la Direzione centrale che sta alla Garbatella e comanda da quella stazione tutto il traffico dei treni. Il Dct è una sorta di sala operativa dove convivono computer e ferrovieri e il contatto con i macchinisti avviene via radio: «Tutte le conversazioni sono registrate, il racconto di Angelo potrà essere provato», garantiscono i colleghi che ora gli fanno scudo al pronto soccorso del Policlinico Casilino. Ieri mattina, all’ora del disastro, l’ora di punta per la metropolitana, c’erano molti treni incolonnati sulla linea e bisognava in qualche modo sfoltire quel traffico: per questo dalla centrale è partito l’ordine di passare, nonostante il semaforo rosso.
Il regolamento interno, del resto, lo prevede: con l’unica raccomandazione, in questi casi, di marciare a vista. «Ma io non andavo forte, ho rispettato tutti i limiti di velocità», continua il ferroviere, già interrogato dalla polizia e dal magistrato (che comunque lo farà sottoporre a perizia tossicologica per escludere la presenza di alcol o droghe nel sangue). Il limite di velocità secondo il regolamento è di 15 chilometri orari: se il treno lo supera, scatta il dispositivo di blocco automatico («Codice 15» in gergo). Forse proprio per questo non s’è fermato: perché la velocità era sì quella giusta ma il treno che lo precedeva era troppo vicino. E, dunque, i freni del metrò guidato da Tomei non hanno fatto in tempo ad arrestare il convoglio. Oppure, altra ipotesi, erano freni difettosi?
Questo lui non lo dice o non lo può dire, ma i suoi colleghi raccontano che proprio il suo treno aveva avuto già un incidente simile, tempo fa, al deposito, quando aveva travolto e buttato giù un respingente proprio per il mancato funzionamento del sistema frenante. Dieci giorni di prognosi, due notti in osservazione. Ha molte ecchimosi sul volto, Tomei, i segni dei pezzi di vetro che hanno ferito la sua carne. Quando l’hanno estratto vivo dalla cabina, aveva ancora quei vetri tra i capelli e il sangue sul viso, eppure ha avuto la forza di chiedere a un pompiere se poteva dare una mano anche lui per i soccorsi: «Sembrava di stare all’inferno, c’era tanto fumo, gente che urlava, io temevo davvero che fossero tutti morti».
Un uomo serio e generoso, dicono di lui i colleghi. Gran lavoratore e a tempo perso anche un bravo muratore: se gli chiedi un lavoretto, non ti dice mai di no. Ma, soprattutto, è un uomo scrupoloso. Che lunedì sera se n’è andato a dormire dopo l’ennesima riunione al sindacato per discutere dei temi della sicurezza. «Sapeste quanti fonogrammi— racconta l’amico macchinista che ha raccolto il suo sfogo in ospedale — lui stesso ha mandato all’azienda per chiedere di intervenire sui tempi di percorrenza. Cosa vuol dire? I treni della metropolitana di Roma viaggiano ancora secondo i vecchi schemi del 1980, ma da allora il volume di passeggeri è notevolmente aumentato e dunque anche i tempi di attesa alle stazioni, per noi, sono molto più lunghi, perché bisogna aspettare che tutte le persone siano salite e scese. Chiaro, no? L’azienda, perciò, non ci può mettere fretta, non ci può chiedere di coprire oggi le stesse distanze con i tempi di allora. Diventa un lavoro stressante, logorante». E pericoloso.
Adesso, al Policlinico Casilino, è arrivata anche la moglie di Tomei, Antonella. La coppia ha due figli piccoli. Ieri mattina, lui l’ha chiamata al cellulare da piazza Vittorio. Piangeva: «Antonella, senti, è successo un disastro, ma sono qui, sono vivo. Tu pensa ai bambini».
Fabrizio Caccia
da www.corriere.it