http://www.millenniourbano.it/?p=2706&f ... s=og.likesMobilità e sessismo
Mobilità, Questioni di genere
Le necessità di spostamento ed il genere di chi si sposta sono diventati oggetto d’indagine di un numero crescente di studi sulla mobilità in ambito urbano. E’ ormai accertato con sufficiente precisione che le donne hanno molte più occasioni di muoversi rispetto agli uomini e lo fanno usando più trasporto pubblico ed in modo più sostenibile, ovvero in genere camminando di più. Se in un nucleo familiare c’è una sola auto è assai probabile che essa venga utilizzata dall’uomo per gli spostamenti casa – lavoro, mentre le donne tendono ad organizzare la propria vita in modo da avere una migliore integrazione tra attività lavorativa e famiglia in termini di distanze e di tempi. E’ la famosa conciliazione tra lavoro di cura e impiego retribuito, che sul versante della mobilità vuol dire maggiori occasioni per spostarsi causa bambini e anziani da accompagnare, spesa ed altre commissioni, oltre che per andare a lavorare.
Quasi tutti questi studi condividono l’intento di individuare strumenti per rendere la mobilità in ambito urbano più orientata alla specificità di genere, sulla quali si fa aderire però il ruolo sociale della donna senza troppo domandarsi se sia sostenibile a lungo termine. In pratica la questione non è se una società più equa sappia distribuire equamente il lavoro di cura tra i generi ma, poiché sono le donne che se ne fanno carico, come facilitarle almeno sul versante della mobilità. Ecco allora che qualche amministrazione locale predispone interventi per favore le donne nell’uso del trasporto pubblico, dei servizi di taxi notturno, o del car e bike sharing, o che viene redatto un decalogo di buone pratiche per la mobilità di genere come la Carta italiana della mobilità delle donne.
Il nodo più critico e di difficilissima soluzione è quello della sicurezza: non si può evidentemente affiancare un poliziotto ad ogni donna che si sposta di notte da sola a piedi o con i mezzi pubblici. La soluzione più praticabile per conciliare più spostamenti, in direzioni diverse e con tempi diversi è, ça va sans dire, l’auto. Si pensi ad esempio ad una donna che svolga turni di lavoro in orario serale-notturno, che abbia il bambino piccolo da portare all’asilo nido e quello più grande da accompagnare a scuola e poi si aggiungano gli acquisti, le attività di doposcuola, le visite mediche, eccetera. S’immagini di far dipendere tutto ciò dal trasporto pubblico e non ci vorrà molto a giungere alla conclusione che l’utilizzo dell’auto risolve in un sol colpo la questione della molteplicità dei percorsi, spesso slegati dalla rete del servizio collettivo, e della sicurezza ,che diventa un problema nelle ore di scarsa frequentazione dei veicoli, delle fermate e dei tratti stradali da percorrere a piedi. Sì perché l’ordinario sessismo della vita urbana è misurabile dal numero di molestie, aggressioni e violenze che vengono commesse nello spazio pubblico a danno delle donne, ammesso che tutto ciò venga denunciato dalle vittime e/o diventi oggetto d’indagine .
Il problema dell’uso del trasporto pubblico e delle strade da percorre di notte da sole, malgrado le buone intenzioni, resta irrisolto e l’auto (quella propria, di un amico o un taxi) rimane la soluzione più praticabile. Anche se si è così fortunate da avere una fermata di metropolitana sotto casa, e magari pure l’incrocio di più linee di superficie, a meno di non abitare in zone della città affollate a qualsiasi ora del giorno e della notte da persone di ambo i sessi, alla possibilità delle molestie sessiste si preferisce il guscio metallico di un’automobile. Certo, il car sharing senza postazione fissa, ovvero la possibilità di prendere e lasciare l’auto dove si vuole, può essere un’alternativa ma dipende dalla frequenza dell’utilizzo e, di conseguenza, da quanto alla fine viene a costare la somma di tutte le forme di mobilità diverse dal veicolo individuale, cioè da quanto sia realmente conveniente, in termini di tempo e denaro, decidere di non possederne uno.
Già perché c’è un altro problema: le donne sono mediamente più povere degli uomini e le cause di questa sfavorevole situazione economica sono da ricercarsi nel maggior carico dei lavori di cura e nella presunzione dell’impatto che essi potranno eventualmente generare. Se in media le donne dispongono di un reddito inferiore a quello degli uomini la loro mobilità sarà di conseguenza fortemente influenzata da questo dato. Se raggiungere il posto di lavoro costa troppo in termini economici e di tempo, se diventa impossibile mettere insieme nella stessa giornata quel paio d’ore trascorse sul trasporto pubblico per andare e tornare dal lavoro con gli orari imposti dalla scuola e dalle varie attività dei figli, o si può contare su qualche parente disponibile o, se non si vuole lasciarlo quel posto, sarà assai probabile che che si utilizzi l’auto. Rimangono escluse dai vantaggi degli spostamenti indipendenti su mezzi provati le donne più povere, quelle che non hanno abbastanza soldi per mantenerli e per pagare il carburante. Per loro l’insicurezza delle strade, dei bus e del metrò diventa una condizione da accettare e l’unica alternativa e non spostarsi affatto.
L’equazione sembra quindi semplice: diminuire il sessismo significa favorire l’uso del trasporto pubblico, distribuire più equamente tra i generi i compiti che generano spostamenti diversi da quello casa – lavoro significa coinvolgere anche gli uomini in quelle forme di mobilità a corto raggio per le quali si può andare a piedi o con i mezzi pubblici, come le donne hanno da tempo imparato a fare. Se si sottrae la mobilità delle donne alla sfera tecnica e la si guarda come fenomeno sociale, non è difficile constatare che le soluzioni che limitano la possibilità di molestie e di violenze, come le app per sapere in tempo reale a che ora passa il bus o il metrò e non aspettare da sole alla fermata o nella stazione deserta, possono senz’altro evitare l’uso dell’auto ma non il fatto che spostarsi da sole nella città può voler dire diventare una preda. Cambiare passo rispetto alle città dominate dalle auto, e ai loro guasti sull’ambiente e sulla forma urbana, vuol dire prima di tutto valutare quanto siano superabili i benefici che il veicolo individuale offre in termini d’indipendenza e di garanzia nella pianificazione degli spostamenti senza dover mettere nel conto l’insicurezza. Si dirà che gli incidenti causati da questo mezzo di trasporto sono una delle principali cause di morte, così come l’inquinamento da esso prodotto ha gravi conseguenze sulla salute, ma quando l’alternativa è la paura si preferisce rischiare in proprio piuttosto che mettere nel conto il rischio da correre per i comportamenti altrui. Allora se la mobilità sostenibile è anche una questione di genere le strategie per superare la centralità dell’auto devono esserlo altrettanto.
Riferimenti